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Decimo dono: la preghiera da egoisticale a sacrificale.
3) Il sacrificale dal concreato nostro: per invenzione, per
imitazione, per applicazione. Una massa enorme di
sacrificale.
1) Donde?
2) La reazione: i responsabili, piena luce e giustizia in
fondo come una carica di odio. Responsabili sì, ma per
accettazione del sacrificale.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova.
Tocca la preghiera del dire egoisticale ed ecco uscir fuori
la preghiera del fare sacrificale.
Il sacrificale lo prego vivendolo: quello che mi do, quello
che mescolo al beneficale, quello che accetto liberamente
dai miei fratelli sacrificatori. Quest’ultimo lo posso anche
non accettare, e magari lo posso sfidare, ma il male che mi
farei sarebbe troppo grave, e il bene di cui mi priverei
sarebbe troppo prezioso. Altrettanto lo posso fare per il
sacrificale che proviene dal creato suo.
Per essere in pace col creato suo, non c’è che accettare il
sacrificale che da esso proviene: con devoto silenzioso
amore sacrificale prima che avvenga e nell’atto del suo
compiersi non appena se ne abbia la possibilità.
Immesso nel creato suo, c’è anche il concreato nostro. Lo
chiamo concreato perché la persona non può creare dal
nulla alla maniera divina; ma può inventare con la sua
intelligenza, può imitare i congegni creati da Dio come il
cervello umano il cui funzionamento la persona ha applicato
all’elettronica, dandoci il cervello elettronico.
Sa ancora applicare le leggi della fisica ai suoi congegni
umani. Tutto questo lo chiamo concreato nostro: la persona
crea impiegando intelligenza e scienza umana, che
sono una dotazione esclusivamente divina.
Che il concreato nostro sia sorgente di sacrificale umano,
ci viene ricordato ogni giorno da fatti di cronaca sacrificale.
Sempre immaginosamente raduniamo insieme le vittime
del concreato nostro:
1) le vittime di tutti quei congegni automatici che per
disattenzione o poca prudenza vanno accumulandosi
ogni giorno.
2) Le vittime delle grandi colate di acciaio (stabilimenti).
3) Le vittime della folgorazione della corrente elettrica.
4) Le vittime di una centrale atomica (esalazioni)
5) Le vittime delle miniere
6) Le vittime per incidenti di strada
7) Le vittime di disastri aerei
8) Le vittime delle collisioni di navi
9) Le vittime degli scontri dei treni.
Siamo davanti a un sacrificale tale da farci sbalorditi.
Donde un sacrificale così immane?
Molte le cause concorrenti: avaria al mezzo meccanico,
difetti più o meno colpevoli di costruzione, imprudenza o
imperizia di chi aziona il mezzo meccanico; cause provenienti
da fenomeni esterni: un uragano può volatilizzare
un aereo in rotta.
Quale la reazione umana, al farsi di un simile sacrificale?
Non sentite più parlare di fatalità, di casualità e di cieco
destino, ma un solo grido va in emissione: i responsabili
vanno individuati, vanno colpiti, con la riparazione ai
danni e alle vite umane sacrificate.
Un solo grido si alza a invocare e a esigere luce piena e
giustizia riparatrice.
Non è che il grido si affievolisca col tempo. Non lo si
vuole, non lo si permette, lo si impedisce magari con la
creazione di associazioni per le vittime di un disastro.
Disastro di Ustica: sorge un’associazione per ottenere la
giustizia. La si esige anche a costo di spendere somme
ingenti nella azione dei legali.
Cose fattibili, che si accompagnano sempre a una carica di
odio che fa nello spirito ciò che è successo a corpi umani
viventi.
Quale la risposta al sacrificale dal concreato nostro?
Accertate le responsabilità, riparati i danni, occorre passare
subito allo spegnimento dell’odio per farsi capaci di una
cristiana accettazione.
È un sacrificale medio, che ha sempre la sua radice nel
volere Paterno.
A quel volere si risponde con devoto silenzioso amore
sacrificale. Un monito: la necessità può far male solo al
corpo; ma al piacerale al corpo e allo spirito.

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