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Decimo dono: la preghiera da egoisticale a sacrificale.
3) Il sacrificale dal corpo mio. Non la chiamo più morte,
ma sacrificale fisico. È troppo carico di odio il termine
morte. Non è di libera scelta. Solo Gesù l’ha fatto. La
sentiamo contraria:
1) all’amore egoisticale.
2) È dura necessità punitiva.
Lo Pneuma la redime col visuato Paterno: una necessità
donativa. Punitiva: la morte fideata; donativa: la morte
visuata.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova. Tocca la preghiera del
dire egoisticale, ed ecco uscir fuori la preghiera del fare
sacrificale. Il sacrificale lo prego vivendolo: quello che mi
do, quello che mescolo al beneficale, quello che accetto
liberamente dai miei fratelli sacrificatori, quello che
accolgo dal creato suo e dal concreato nostro. Darmi e
accettare tutta la distesa immensa del sacrificale con devoto
silenzioso amore è la preghiera più pura e genuina; è la
preghiera più penetrante e più trasformante.
Non abbiamo ancora terminato la presentazione del sacrificale:
ci rimane il sacrificale più personale e nel medesimo
tempo più metamorfosale e trasformante: il sacrificale
che mi viene dal corpo mio.
1) Lo chiamo sacrificale, ma lo si è sempre chiamato
diversamente: lo si è chiamato la morte: con un riferimento
unico e esclusivo: la morte del corpo, e poiché il
corpo si chiama anche fisico ecco il nome di morte fisica.
Comunque non occorre specificare perché con quel33
la noi ci riferiamo solo alla morte fisica, senza neppure
metterla in relazione alla morte Pneumatica o dell’amore.
La parola morte sto abbandonandola e per un motivo
molto forte. L’umanità di tutti i secoli ha sempre
scaricato sulla parola morte tutto l’odio di cui era capace.
Morte: sputacchiera di tutto l’odio umano. Noi ultimi
arrivati non è che odiamo la morte meno dei passati.
Nessuno ha mai odiato la morte come noi, perché
nessuno si è amato vivente più di noi. Quindi la parola
morte trasuda di odio umano. Pertanto lascio la morte e
assumo la parola: sacrificale fisico.
2) È un sacrificale che non è lasciato alla libera scelta
umana. Nessun uomo egoisticale farebbe una simile
scelta. Riconosciamo almeno che l’uomo più vero, e
noi tutti siamo più o meno falsi, Gesù di Nazareth, ha
scelto liberamente non la morte naturale, ma quella
morte vista e prevista in tutto il suo tragico svolgimento:
‘Io pongo la mia vita quando voglio e me la riprendo’.
È necessità assoluta: nella nostra condizione sentiamo
la morte come una dura e pesante necessità.
Necessità è contrario di libertà. Davanti alla morte ci
sentiamo obbligati, costretti a subirla contro voglia, una
pillola amarissima che dobbiamo trangugiare. Dura
necessità perché la sentiamo doppiamente contraria.
a) Contraria all’amore egoisticale che mi vuole vivente
e non morente.
b) Contraria a tutta la realtà umana che si sente pesantemente
castigata da Dio: necessità punitiva. Il castigo
di noi ce l’ha imposta come dura necessità.
Questa è la presentazione fatta dalla Bibbia dell’Antico
Testamento. La morte affidata alla fede religiosa ebraica è
passata tale e quale alla fede cristiana. La chiamo la morte
fideata di fronte alla quale verrà a farsi una sempre visuata
che assume un volto nuovo: non più necessità punitiva,
ma necessità donativa.
Non un castigo, ma uno squisitissimo e personalissimo
dono divino Paterno. Lo Pneuma mediante il visuato
Paterno ha già operato la più colossale trasformazione di
una morte punitiva in sacrificale donativo. Una metamorfosi
che neppure Cristo ha operato.
Noi infatti continuiamo a dire che Gesù ha redento la
nostra morte, ha vinto la morte. La morte del cristiano non
è redenta perché continua a raggiungerla e a odiarla con
tutte le sue forze. Il visuato Paterno la redime e ne cambia
il nome: non più pesante castigo, ma un dono grande dell’amore
sacrificale.

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