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Decimo dono: la preghiera da egoisticale a sacrificale.
La forma piccolare mi mette in espropriazione totale, meno:
la sua meità. Con la nascita la mia crescita con la mia
appropriazione funzionale, buona, se Satana non me l’avesse
fatta egoisticale. Mi amo vivente: grande, potente, gaudente.
Vita sbagliata: me lo dice il sacrificale fisico finale.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno che tocca il vecchio
fideato e tutto lo rinnova. Tocca la preghiera del dire
egoisticale ed ecco uscir fuori la preghiera del fare sacrificale.
Lo prego vivendolo: in quello che mi do alla distesa piacerale,
in quello che mescolo col mio beneficale, in quello che
accetto liberamente dai miei fratelli sacrificatori, in quello che
accolgo dal creato suo e concreato nostro, in quello che vivo
nel corpo mio: il mio sacrificale fisico è di necessità donativa,
non punitiva. Il dono Paterno mi arriva dal talamo Paterno
metamorfosale, in cui si riduce fino ad assumere una forma
nuova: un concentrato sommo di potenzialità di amore
vivibili al sacrificale mortale. Con quella sua forma stampa
ogni creatura: cielo, terra, vegetale, animale e uomo.
1) La mia forma piccolare è la radice della mia sacrificalità
fisica.
2) E insieme allo spirito mio l’immagine Paterna che porta
ogni uomo.
3) Il sacrificale è elemento coessenziale alla vita che noi
non vogliamo neppure pensare.
La forma piccolare iniziale mi fa essere un uomo che di sé
non ha alcuna proprietà. Io incominciando sono proprietà
prima della madre, in seguito alla nascita dei miei genitori.
Il Padre stesso rispetta la proprietà della madre; per questo
non impedisce che una madre si liberi della sua creatura,
facendola sloggiare dal suo grembo con un’azione che si
chiama aborto. Parto con una sola proprietà di cui non potevo
avere coscienza: lo spirito di amore del Padre espropriato
mi si è ceduto diventando mio. Porto con me la sua meità:
il suo essere mio. A formazione completa ecco la mia nascita.
Da quel momento parte la mia crescita prima fisica e poi
spirituale. Crescere vuol dire un lungo cammino nel quale
mi vado appropriando di me stesso: una graduale appropriazione
personale. Per una migliore comprensione del bambino
di oggi ricordiamo che nei tempi passati la appropriazione
veniva fortemente ritardata, mentre quella del bambino di
oggi viene fortemente accelerata. Fa il maggiorenne prima
dei 18 anni. Nulla di male nella mia appropriazione che ha
un carattere funzionale. A meno di un anno l’infante cammina
da solo ed è bene, tutto è normale. Solamente che Satana
al mio incominciare mi ha bloccato l’amore Paterno alla sua
meità per impedirmi che vivendolo al sacrificale io avessi a
diventare suo: la mia suità. In modo che la mia appropriazione
funzionale fosse interamente regolata e guidata dall’amore
per me e ne risultasse una appropriazione egoisticale: per
prima cosa mi approprio della mia vita. Mi amo vivente e mi
odio morente. Voglio la vita, odio la morte. Strappato il
sacrificale all’amore, inserito l’egoisticale, scompare il dono
del sacrificale fisico e io devo odiare la morte. Mi amo
vivente non a qualche modo, ma nel modo migliore.
1) Mi amo vivente grande, non piccolo: di qui il mio sforzo
per dare crescita alla mia grandezza: appropriazione
egoisticale.
2) Mi amo potente e non impotente: di qui la mia tensione
ad accumulare più potere possibile: altra appropriazione
egoisticale.
3) Mi amo gaudente, non gemente: di qui la mia affannosa
ricerca piacerale, altra appropriazione egoisticale.
Anche la persona che non ascolta la parola di Gesù
dovrebbe domandarsi: la mia vita amata e vissuta così è
giusta o sbagliata? La risposta non l’ho da cercare lontano
ma vicino; me la passa il sacrificale fisico che ho
con me nella forma iniziale e che un giorno assumerà la
forma finale. È tutta sbagliata la tua vita appropriativa,
perché io sacrificale sono totale espropriazione.

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