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Decimo dono: la preghiera da egoisticale a sacrificale.
La morte fideata è castigo. E la morte visuata? È un dono
che proviene dal talamo eternale ove è radicato e me lo
passa il talamo metamorfosale da cui viene ogni essere finito.
Il sacrificale fisico è la mia assomiglianza col Padre.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova. Tocca la preghiera del dire
egoisticale ed ecco uscir fuori la preghiera del fare sacrificale.
Lo prego vivendolo: in quello che mi do al piacerale, in
quello che mescolo col beneficale, in quello che accetto liberamente
dai miei fratelli sacrificatori, in quello che accolgo
dal creato suo, dal concreato nostro, in quello che vivo nel
corpo mio. È il mio sacrificale fisico. L’amore egoisticale me
lo fa sentire nemico senza pietà. La formazione religiosa ce
lo ha fatto credere come una necessità punitiva: così maturata:
un comando proibitivo con una minaccia punitiva, una
ribellione compiacente che spazza via il dono preternaturale
dell’immortalità. Il principio della solidarietà umana che la
fa scorrere (la morte) in tutta la discendenza. Il valore espiatorio
per una accettazione almeno rassegnata. La morte
necessità punitiva non dà il minimo spazio alla possibilità di
un dono. Di fronte a questa proposta fideata, lo Pneuma ci ha
già posto la lettura visuata. Nella Trinità nessuno mai è entrato
e in nessun modo. Il visuato Paterno che gradualmente mi
si è disteso nella mia intelligenza alla luce Pneumatica specchiante
mi ha sospinto a una progressiva risalita fino a una
profonda osservazione della Trinità. Quaggiù lo spirito di
amore del Padre espropriato mi si è ceduto: dal suo Agente
mi si è fatto concepire, da vivere mi si è dato al sacrificale.
Lassù il Padre è eternale espropriazione per una totale cessione,
in personificazione di Figlio per una eterna comunione
trinitaria: è l’eterna generazione del Figlio. L’espropriazione
cessione generativa è l’eterna sacrificazione, è personale piccolazione
Paterna. Ma nella Trinità la sua sacrificazione non
tocca la morizione perché la sua sacrificazione rifluisce nel
Padre tramite il Figlio. Nel Figlio non avviene alcuna egoisticazione
dell’amore. Per questo la piccolazione Paterna è
decisamente tendenziale: tende alla sacrificazione moritiva:
che gli dia la morte dell’amore. In quella sua tendenzialità è
radicata la sua metamorfosalità. Pur restando, lascia l’atto
puro e si concentra fino all’estremo in potenzialità che condensano
lo sviluppo di una estesissima storia umana.
L’amore Paterno si riduce, si riduce fino a darsi la forma di
un sommo concentrato di potenzialità vivibili al sacrificale.
Il concentrato si articola così: espropriabile, cedibile, concepibile,
vivibile al sacrificale sempre temporaneo, talora eternale
come in Satana. Nella metamorfosi Paterna esplode la
sua creatività in funzione sacrificale. Se ci avesse fatto essere
la Trinità sacrificale ma immortale anche noi risulteremmo
immortali. Ma che ci fa essere è il Padre sacrificale al
mortale. Io non potevo, essere finito, uscire da una Trinità
infinita; non avrei fatto mai comunione con essa. Sono uscito
da una Trinità finitizzata che dà vita al creato finito. Se io
fossi per assurdo immortale, non saprei da dove sono venuto.
Ma poiché vivo una vita fisica sacrificale ho la certezza
visiva Pneumatica che sono venuto da un Padre metamorfosato.
Per il mio sacrificale fisico lo sento Padre ed io mi sento
figlio. Il mio sacrificale fisico mi fa essere spaccato figlio di
quel Padre. È un dono assomigliare ai genitori o è un castigo?
Allora datevi la risposta: la morte fisica è un dono o un
castigo? È un dono. Lasciatemi amare il mio sacrificale.

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