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Decimo dono: la preghiera da egoisticale a sacrificale.
Funzione ricuperatrice. Si recupera la vita dell’amore nel
sacrificale fisico: chi crede ma non vive la fede, ma solo
la appropriazione egoisticale.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno, che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova. Tocca la preghiera del
dire egoisticale, ed ecco uscir fuori la preghiera del fare
sacrificale. Lo prego vivendolo: quello che mi do io, quello
che mi danno gli altri, quello che mi dà il corpo mio: è
il sacrificale fisico. Ha la sua radice nella forma piccolare
iniziale che ha funzione orientatrice. Si conclude con la
forma piccolare finale che ha funzione assolutrice. Per la
sua forma piccolare il sacrificale fisico talora può avere
pure una funzione ricuperatrice. Il recupero si dice di una
cosa che si era perduta. Così si recupera una vista perduta,
si recupera la salute perduta, si recupera un oggetto
perduto, si recupera il relitto di una nave. Riferito alla
morte dell’amore Paterno, si dice che una creatura recupera
la vita dell’amore all’estremo della sua esistenza: al
compiersi del suo sacrificale fisico, proprio quando la
morte dell’amore sta per fissarsi eternamente: è il caso di
chi crede in Dio; però quello che ha creduto non lo ha mai
vissuto, né come pratica religiosa, né come vita vissuta. Al
contrario ha totalizzato una vita di estrema egoisticità,
portando l’amore Paterno fino all’estremo della sua morte.
Una vita di intensissima appropriazione con la quale consegue
il massimo di grandezza, di potenza e di felicità.
Anche il Vangelo parla di un uomo che guadagnato tutto il
mondo perderà la sua stessa vita: sicuramente l’eternale,
talora finanche la terrena.
Mentre la persona procede verso il vertice della sua appropriazione
egoisticale, ecco farsi avanti (dal di dentro) il
sacrificale fisico. Esso avvia un procedimento contrario.
Porta con sé una espropriazione graduale, prima delle
cose, poi delle persone, e alla fine della sua stessa vita fisica.
Viene avanti la magica forma piccolare del sacrificale
finale. Attorno a quella persona si forma una desolante
solitudine: gli amici se la squagliano.
Quando si vede e si sente ridotta a nudità estrema, allora
ha la chiara sensazione di una vita tutta sbagliata, tutta
rovinata, tutta fallita. Riaffiorano i ricordi e i richiami religiosi,
pronti a riagganciarlo e a recuperarlo.
1) Se accanto tutti si accaniranno su di lui e faranno del
suo piccolare l’ora buona della vendetta, si farà più che
convinto che anche Dio è pronto alla sua vendetta finale,
e si getterà nella disperazione eternale.
2) Ma se in quegli estremi lo Pneuma riesce a farlo incontrare
con una parola amica dal sapore squisitamente
Pneumatico; meglio ancora, se lo Pneuma gli farà giungere
una persona dal tocco pietoso e sacrificale, allora
piano piano la luce divina si accende e si espande; la
durezza di quel cuore si va emolliendo, la fiducia in
Dio si va ricomponendo, la riprovazione del male si va
intensificando fino a far scoppiare il pianto del dolore e
della rigenerazione. La forma piccolare finale l’ha
recuperata.
Quanti ne salva il Padre in quella forma piccolare! È una
forma Pneumaticamente magica, capace di operare miracolosa
salvezza proprio quando ormai sembravano esaurite
tutte le speranze. Ma quando la persona ha toccato i vertici
della appropriazione egoiticale, quanto è difficile
lasciarsi smontare da qualsiasi azione piccolare! Quando
una simile persona incappata nella umana giustizia che è
molto diversa dalla divina: l’umana riduce al minimo la
persona, la divina si lascia ridurre a morte dalla persona,
coglie nel suo insieme la vastità e la immensità di quella
riduzione, si ribella e scappa, buttando via la sua vita.
L’ultimo dono: o accolto o stracciato.

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